EDUCARCI ED EDUCARE AL PENSIERO CRITICO
Con gli occhi di un bambino per uno sguardo rinnovato
sulla realtà[1]
Non sempre gli educatori, i docenti,
gli animatori, i genitori credono fino in fondo all'azione educativa o a quanto
professano; spesso si resta fermi alle buone intenzioni, alle idee, alle
teorie, ai convegni, ai libri, al "si è fatto sempre così" e alla
tante parole...forse troppe! C'è bisogno di uno sguardo nuovo, meravigliato,
trasognato e allo stesso tempo concreto sull'educazione; cambia la prospettiva,
si va all'essenziale, si guarda con il cuore, si sta con i piedi per terra, lo
sguardo in cielo e in maniche di camicia.
Spiccare il volo è quello che ogni
educatore dovrebbe desiderare per se stesso e per coloro che gli sono stati
affidati, dopo essere stato il più possibile un modello e un esempio, dopo aver
pensato al giovane nell’oggi, osservato le sue caratteristiche e su queste aver
costruito un percorso per condurlo al cambiamento, convertendosi allo stesso
tempo come educatore. In ambito educativo la difficoltà maggiore sta proprio
nel riuscire ad osservare, individuare, vedere e circoscrivere ciò che è
possibile tirar fuori da se stessi e da chi si sta educando. L’azione educativa
è, per sua natura, sempre attraversata dal fremito del cambiamento e basta
vedere i ragazzi, nel breve o nel lungo periodo, per rendersene conto. Tutto
sta nel segno della crescita e ogni intervento tenderà a sostenerla, nella
libertà e con la consapevolezza che l’errore può dare buoni frutti; si progetta
verso la ricerca del bene che può apparire più difficile da raggiungere e
indicando che la via facile conduce spesso al male facile.
Allo stesso tempo cambiano anche gli
educatori: aumentano le esperienze, le capacità educative, le competenze, le
relazioni, i sogni. La relazione educativa è ricca ed efficace solo se si fonda
sulla libertà e sulla responsabilità: in questo caso produce un cambiamento
positivo e la crescita di tutti gli attori in campo. Ci viene in aiuto il film
«Les choristes»: Clément Mathieu – insegnante di musica ma assunto come
sorvegliante in un istituto di rieducazione per minori - è un uomo che crede al cambiamento, nel lato
buono delle cose, nella possibilità che anche i ragazzi difficili abbiano sempre
«un punto accessibile al bene» (Don Bosco) e che valorizzarli sia il modo
migliore per non precludere loro la speranza nel futuro. Questo ottimismo lo
induce a concedere varie opportunità di crescita ai suoi giovani allievi e
dalla loro maturazione e soddisfazione trarrà arricchimento lui stesso.
«Percepisco – afferma Mathieu - negli
sguardi dei miei ragazzi il desiderio di libertà, di costruirsi capanne in cima
agli alberi, e di non poterlo fare». La forza di questa riflessione sta tutta
in quell’iniziale percepisco, nel
cogliere il bisogno, nel credere che «chi nasce tondo può morire quadrato», nel
sentire un desiderio del cuore, nel trovare la chiave di volta, il codice
giusto.
Tutto questo vale pure per la
persona dell'educatore che ricomincia ogni giorno con coraggio e senso critico;
chissà quante e quali distruzioni e distrazioni lo investiranno! C'è bisogno di
"guardiani" e di "vedette", di realtà educative che formino
nella libertà, che facciano vedere - come nell'apologo famoso - "che il re
è nudo"! Dovrebbero essere delle luci
continue, sempre accese e vivide, che ricordino ogni giorno ai distratti o agli
annoiati, ciò per cui vale la pena vivere, lottare, impegnarsi, dare il proprio
tempo, e se necessario soffrire per il bene.
Dunque,
vogliamo continuare a credere che è possibile rispondere
significativamente alle sfide di questo tempo? Vogliamo impegnarci ad
affrontare queste sfide per il presente e il futuro della nostra società? Le
nostre realtà ecclesiali possono restare "beatamente" fuori dalla
società e dal quotidiano vivendo nel passato e del passato? Così, non verremmo
forse meno al nostro dovere di guide per aprire al senso critico, di sostegno
per comprendere i fatti, di luce per interpretare il presente? Ogni storia di
cambiamento prende vita dalla realtà e la realtà è fatta di racconti di donne e
uomini più o meno noti di ogni tempo e luogo, di avvenimenti, di
interpretazioni di questi, di scoperte, di invenzioni, di intuizioni, di gesta,
di passioni, di riflessioni, di dono di sé. Diventano vivi solamente quando non
se ne fa un mero ricordo nostalgico e d'altri tempi, una regola da imparare a
memoria, ma alla luce di un presente che può diventare più avvincente e
interessante.
Alla
luce di questo, potremmo parlare di umanesimo
cristiano: in ambito educativo
non vuol dire rifarsi alla storiografia e a categorizzazioni culturali antiche,
anzi si è proprio lontani da dibattiti e grandi teoremi, perché l’educatore è
persona di poche parole e di molti fatti. La cultura c’entra sì, ma come
ricerca della verità che è l’asse portante della stessa. Infatti si educa a
stare nella realtà con una tensione al vero e al bene. Cosa significa? Il punto
di partenza è aiutare a riconoscersi limitati e non fatti da sé, ma amati da un
Altro e per vivere con gli altri. L’uomo dunque è originariamente in relazione
con l’Altro e l’altro, e ne è pure in costante ricerca. Si aprono così infiniti
orizzonti per chi è in crescita in rapporto tra la grandezza del creato e le
creature.
L’educatore
non può evadere le domande di senso, né tantomeno banalizzarle o esaurirle,
poiché la ricerca del fondamento ultimo del nostro esserci è la domanda di
verità più urgente e la risposta, data nella libertà, permette al giovane di
dare un giudizio sulla propria vita che riconosce frutto di un atto di
intelligenza e di amore. Ora il Cristianesimo si dimostra capace
di amare l'uomo, di ascoltare e affrontare i bisogni educativi, valorizzandoli
fiduciosamente. Il Salmo 8 della
Bibbia dice: «Se guardo il tuo cielo,
opera delle tue dita,/ la luna e le stelle che hai fissate,/ che cosa è l’uomo
perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?». Ci si accorge
così di essere qualcuno e non qualcosa e di essere affidato ad una memoria che
non svanisce e ad una cura che sarà costante.
«Chi sa di essere amato, ama» – affermava Don
Bosco – e amare implica un contatto con la realtà e non un chiudersi in sé, la
ricerca della beatitudine propria e degli altri, realizzare se stessi come
immagine di Dio non a scapito del prossimo. L’educatore cristiano non si pone
come fine ultimo, ma come tramite per, sapendo bene che Cristo è la risposta
vera e libera che rende l’uomo partecipe della sua vita, protagonista. Si
tratta allora di aprire il cuore come si legge nel Vangelo per guardare
a Cristo come modello e all’uomo come icona vivente.
Si può parlare di umanesimo cristiano nella relazione
educativa quando c’è una
quotidiana corrispondenza fra il desiderio del cuore e l’annuncio cristiano,
quando nulla di ciò che è umano resta estraneo all’apertura del cuore, il che
significa: accogliere, integrare, far fruttare ciò che di buono, di vero, di
bello l’uomo ha realizzato. Potremmo dire che il giovane deve essere guardato
con gli occhi e nella prospettiva di Dio, cioè nella realizzazione, nella sua
perfezione, in altre parole nella santità; potremmo aggiungere che noi stessi -
come in uno specchio - dovremmo sentirci guardati così da Chi ci ama veramente!
Non si sta
volando verso itinerari impossibili, non si parla di astrattezze, poiché
generazioni di donne e uomini hanno vissuto in questa prospettiva, hanno
camminato per strade impervie, hanno tracciato sentieri di speranza e li hanno
mostrati agli altri. Chiaramente educarsi ed educare in
questa direzione crea scompiglio in una cultura dominante che propone un preciso ideale di riuscita, di
bellezza, di ricchezza, di
violenza, di abilità e efficienza; infatti si crede nel valore dell’uomo, si carica di senso il vivere in
modo rivoluzionario senza omologazioni e compromessi. Si propone un tipo
diverso di cultura, una cultura di
comunione, che si esprime attraverso
la solidarietà e il servizio, e si oppone ad un umanesimo ambiguo e disumano, che porta a emarginare gli uomini che non
riescono, i deboli e gli sfortunati.
Adulti
e giovani scopriamo che anche i sacrifici conducono alla crescita personale, di chi soffre, della
società; il tutto nel rispetto della libertà di ciascuno, nell'autonomia, nella
responsabilità, assaporando la gioia della conquista passo per passo, della
condivisione nella comunità, per dare ad ogni persona la possibilità di essere
pienamente felice.
In un tempo in cui tutto ci sembra
dovuto e ci si sente il centro del mondo, siamo chiamati a decentrarci e a
trovare in chi è nel bisogno ciò che completa il nostro essere persona.
Guardare solo a noi stessi, al massimo a chi ci sta più vicino, ci rende
isolati e più deboli, incapaci di avere rapporti tranquilli, spesso ci si perde
nella paura dell’altro e della diversità. Vogliamo solo ciò che ci spetta, anzi
a volte vogliamo di più, degli altri non ci interessa o non sono affari nostri.
Non possiamo essere felici da soli e prenderci cura di qualcun altro ci aiuterà
a essere più sereni con noi stessi e dal punto di vista relazionale. Fare del
bene è contagioso! Si parte dalla famiglia, poi dal vicinato, passando dagli
amici all’ambiente lavorativo o di studio, dai nostri gruppi e associazioni,
dalla parrocchia e dall'Oratorio, da lì fino a chi incontriamo per strada; ogni
incontro può diventare una novità e fare luce a chi è nel buio della
sofferenza, della povertà, della solitudine.
Da dove iniziare per diventare
"educatori nuovi"? Quale la prima sfida da cogliere al volo? La
storia de "Il piccolo principe" (un libro per grandi che solo
apparentemente è per i piccoli!) ci insegna che ogni adulto può essere un
aviatore caduto con il proprio aereo nel deserto, cioè tra le difficoltà della
vita, oppure "un uomo serio" che svolge importantissime attività ma
profondamente e fisicamente solo. Ci insegna pure che proprio nel momento del
disastro o della ripetitiva routine c'è un "Piccolo Principe" che può
sconvolgerci la vita con le sue domande e richieste strane, con i racconti
straordinari dei viaggi, con quelle esperienze speciali che riempiono il cuore
una volta svuotato del di più. Nella vita di una famiglia, di un educatore, di
un docente, di un animatore, ciò accade costantemente e non c'è da attendere
l'arrivo di un "giovane favoloso" dal cielo, perché già spesso lo
abbiamo accanto. Però, spesso, la tendenza è quella di dover sempre insegnare
qualcosa, difficilmente quella di ascoltare a cuore aperto, con le
"orecchie grandi", a pieni polmoni, a braccia aperte! Cosa c'entrano
i polmoni e le braccia nell'ascolto? Vuol dire che tutta la nostra persona,
anche fisicamente, deve aprirsi all'ascolto delle domande e delle parole dei
piccoli, degli adolescenti, dei giovani. Direi che deve aprirsi pure alle loro
proposte, alle idee, ai consigli, attribuendo il valore giusto, non liquidando
con un "sei ancora troppo giovane".
Ci dimentichiamo di generazioni di
ragazzi che per secoli hanno aiutato le famiglie nei lavori manuali, che hanno
purtroppo combattuto guerre sempre ingiuste, che hanno difeso i diritti civili
e hanno dato la vita per questo, che si dedicano con generosità costante al
volontariato, che sono Santi nella Chiesa. Molti tra questi sono stati e sono
veri e propri "maestri", mentre noi abbiamo bisogno - come afferma
spesso papa Francesco - di "imparare ad imparare".
Una citazione del film "Lo
Hobbit" mi permette di sottolineare una bella verità: «"Perché il mezzuomo?" (NdR. dice il grande
Gandalf). "Saruman ritiene che
soltanto un grande potere riesca a tenere il male sotto scacco. Ma non è ciò
che ho scoperto io. Io ho scoperto che sono le piccole cose, le azioni quotidiane
della gente comune che tengono a bada l'oscurità. Semplici atti di gentilezza e
amore. Perché Bilbo Baggins (NdR. un hobbit, dunque un piccolo uomo)? Forse
perché io ho paura. E lui mi dà coraggio"». È proprio di questo coraggio
che abbiamo bisogno oltre che dell'umiltà di volere imparare dai nostri
"Piccoli Principi" o "Hobbit" che siano. Essi ci salvano e
ci salveranno!